venerdì 11 marzo 2011

Elogio della lettura e della finzione

Mario Vargas Losa in occasione dell'assegnazione del premio Nobel per  la lettura 2010 ha tenuto il discorso Elogio della lettura e della finzione . Ne riporto alcuni  i punti da rileggere e su cui riflettere.

Elogio della lettura e della finzione

Ho imparato a leggere all’età di cinque anni, nella classe di Fratel Justiniano, presso il collegio di La Salle a Cochabamba (Bolivia). È la cosa più importante che mi sia mai capitata. Quasi settant’anni dopo ricordo con chiarezza come questa magia, quella di tradurre in immagini le parole dei libri, abbia arricchito la mia esistenza, distruggendo le barriere dello spazio e del tempo, permettendomi di percorrere con il capitano Nemo nel suo sottomarino ventimila leghe sotto il mare, di lottare a fianco di D’Artagnan, di Athos, di Porthos e di Aramis contro gli intrighi che minacciavano la Regina ai tempi del ritorno di Richelieu, o di percorrere il cuore di Parigi, divenuto Jean Valjean con il corpo inerte di Marius sulle spalle.
La lettura trasformava il sogno in vita e la vita in sogno, mettendo alla portata di quel piccolo ometto che io ero l’universo della letteratura. Mia madre mi raccontò che le prime cose che scrivevo erano i seguiti delle storie che leggevo, perché mi rattristavo che finissero o volevo correggerne il finale. E può essere che sia questo che ho fatto per tutta la mia vita senza saperlo: prolungare nel tempo, mentre crescevo, maturavo e invecchiavo, le storie che avevano riempito la mia infanzia di entusiasmo e d’avventure. ...
Mi sono domandato a volte se in paesi come il mio, che conta così pochi lettori e tanti poveri, analfabeti e ingiustizie, e dove la cultura resta il privilegio di pochi, scrivere non sia un lusso solipsistico. Ma questi dubbi non hanno mai spento la mia vocazione, ché io ho sempre continuato a scrivere, anche in quei periodi nei quali per mangiare ero costretto a lavorare a tempo pieno in altri campi. Penso di aver agito saggiamente poiché, se perché la letteratura fiorisse in una società fosse prima stato necessario giungere alla cultura alta, alla libertà, alla prosperità e alla giustizia, essa non sarebbe mai esistita. Al contrario, grazie alla letteratura, alle coscienze che ha formato, ai desideri e agli slanci che ha ispirato, al disincanto della realtà quando si faccia ad essa ritorno dopo una bella storia, la civiltà è ora meno crudele di quando i narratori hanno iniziato a umanizzare la vita con le loro favole. Saremmo peggiori di quel che siamo senza i buoni libri che abbiamo letto; saremmo più conformisti, meno inquieti, meno insubordinati, e lo spirito critico, motore del progresso, non esisterebbe nemmeno. Come scrivere, leggere è protestare contro le insufficienze della vita. Colui che cerca nella finzione ciò che non ha esprime, senza alcun bisogno di dirlo o addirittura di saperlo, che la vita quale è non basta a soddisfare la nostra sete d’assoluto, fondamento della condizione umana, e che dovrebbe essere migliore. Inventiamo delle finzioni per poter vivere in qualche maniera le multiple vite che vorremmo avere, quando non disponiamo che di una sola.
Senza le finzioni saremmo meno coscienti dell’importanza della libertà che rende vivibile la vita, e dell’inferno che essa diviene quando questa libertà è calpestata da un tiranno, un’ideologia o una religione. Che coloro che dubitano che la letteratura, che ci sprofonda nei sogni della bellezza e della felicità, ci metta in guardia, inoltre, contro tutte le forme di oppressione, si domandino perché tutti i regimi che intendono controllare la condotta dei cittadini dalla culla alla tomba, la temano a tal punto da istituire dei sistemi di censura per reprimerla e sorveglino con tanto sospetto gli scrittori indipendenti. Quei regimi sanno bene, in effetti, quale sia il rischio nel lasciare l’immaginazione spaziare nei libri, e quanto sediziose divengano le finzioni quando il lettore compara la libertà, che le rende possibili e vi si spande, con l’oscurantismo e la paura che le controllano nel mondo reale. Che lo vogliano o meno, che lo sappiano oppure no, i fabbricanti di racconti, inventando storie, propagano l’insoddisfazione e mostrano che il mondo è fatto male, che la vita dell’immaginario è più ricca della routine quotidiana. Una simile constatazione, quando si ancori nella sensibilità e nella coscienza, rende i cittadini più difficili da manipolare, più restii ad accettare le menzogne di quelli che vorrebbero far loro credere che dietro alle sbarre, tra inquisitori e carcerieri, si viva meglio e più sicuramente.
...
Non mi sono mai sentito straniero in Europa né, a dire il vero, in nessun altro luogo....
Non mi sembra che essere divenuto, senza essermelo proposto, un cittadino del mondo, abbia indebolito quelle che si chiamano «le radici», i miei legami con il mio paese – cosa che non avrebbe più grande importanza - , poiché se così fosse stato, le esperienze peruviane non continuerebbero ad alimentare la mia scrittura e non apparirebbero sempre nelle mie storie, anche quando queste sembrano aver luogo molto lontano dal Perù. Credo che l’aver vissuto tanto tempo fuori dal paese dove sono nato ha piuttosto rafforzato quei legami, affiancandovi una prospettiva più lucida, e la nostalgia, che sa fare la differenza tra contingente e sostanziale e mantiene in tutto il loro splendore i ricordi. L’amore del proprio paese natale non è un obbligo, ma, come tutti gli altri amori, è un movimento spontaneo del cuore, come quello che unisce gli amanti, i genitori e i loro figli, e gli amici fra loro.
 
...
Io detesto tutte le forme di nazionalismo, d’ideologia – o piuttosto di religione – provinciale, dalle idee corte ed esclusive, che corrode l’orizzonte intellettuale e dissimula nel suo seno pregiudizi etnici e razzisti, poiché trasforma in valore supremo, in privilegio morale e ontologico, la circostanza fortuita del luogo di nascita. Allo stesso modo della religione, il nazionalismo è stato la causa delle peggiori carneficine della storia, come quelle delle due guerre mondiali e dell’attuale bagno di sangue in Medio-Oriente. Nulla ha contribuito quanto il nazionalismo alla balcanizzazione dell’America latina, insanguinata da combattimenti e da litigi insensati, dove risorse astronomiche sono state sperperate nell’acquisto di armamenti invece di costruire scuole, biblioteche e ospedali.
Non bisogna confondere il nazionalismo con i suoi paraocchi e il suo rifiuto dell’«altro», sempre fonte di violenza, con il patriottismo, sentimento sano e generoso, d’amore per la terra dove si è vista la luce, dove hanno vissuto i propri antenati e si sono forgiati i primi sogni, paesaggio familiare di geografie, di esseri cari e di avvenimenti che divengono momenti chiave della memoria e scudi contro la solitudine. La patria non sono né le bandiere né gli inni, né i discorsi apodittici sugli eroi emblematici, ma un pugno di luoghi e di persone che popolano i nostri ricordi e li tingono di malinconia, la sensazione calda che, dovunque noi siamo, esiste un focolare al quale possiamo fare ritorno.
...
Dalla caverna al grattacielo, dalla clava alle armi di distruzione di massa, dalla vita tautologica della tribù all’era della globalizzazione, le finzioni della letteratura hanno moltiplicato le esperienze umane, impedendo che, uomini e donne, noi soccombessimo alla letargia, alla rassegnazione, che ripiegassimo su noi stessi. Nulla ha seminato tanto l’inquietudine, scosso tanto l’immaginazione e i desideri che quella vita di menzogne che aggiungiamo a quella che abbiamo grazie alla letteratura allo scopo di conoscere la grande avventura e la grande passione che la vita vera non ci darà mai. Le menzogne della letteratura divengono verità attraverso di noi, suoi lettori, trasformati, contaminati dalle aspirazioni e, per colpa della finzione, sempre pronti a rimettere in questione la mediocre realtà. Attraverso questo sortilegio, che ci culla nell’illusione di avere quello che non abbiamo, di essere ciò che non siamo e di accedere a quella esistenza impossibile nella quale, come degli dei pagani, noi ci sentiamo al contempo terreni ed eterni, la letteratura introduce nelle nostre anime la non conformismo e la ribellione, che stanno dietro a tutte le prodezze che hanno contribuito a diminuire la violenza nei rapporti umani. A diminuire la violenza, non ad eliminarla del tutto. Perché la nostra sarà sempre, per fortuna, una storia incompiuta. È la ragione per la quale dobbiamo continuare a sognare, a leggere e a scrivere, che è il metodo più efficacie che abbiamo trovato di alleviare la nostra condizione mortale, di trionfare sull’usura del tempo e di rendere possibile l’impossibile.

Nessun commento: